Daniela Grifoni descrive il proprio processo creativo come analogo a quello di uno scrittore che componga un testo, con ciò rivendicando, in certa misura, una presa di distanze dai cascami dell'espressionismo astratto e da una sorta di degenerazione del tópos della creazione spontanea e subcosciente derivante da certe avanguardie storiche, ma riaffermando, al contempo, una visione estetica che si può descrivere, mutuando la terminologia proposta dall'antropologo Maurizio Predasso1, come incardinata su una concezione dell'arte quale elaborazione e sviluppo, mediante le «facoltà estetico-soggettive», della «coscienza intuitiva», complementare - e non ancillare - rispetto al lógos che pertiene al pensiero discorsivo e diacronico.
Non sorprende, alla luce di quanto esposto, la preminenza che Grifoni accorda alla materia cromatica e al colore, giacché il questo, presentato nella sua purezza e non asservito ad intenti mimetici e rappresentativi, assurge immediatamente allo status di simbolo, e si propone, in quanto tale, quale segno capace di evocare, laddove correttamente decifrato, una realtà altra da sé, primigenia e archetipica. L'allusione ad un'energia latente e ipogea insita nel termine magmatismo, coniato dalla stessa pittrice e da lei invariabilmente usato per riferirsi alla propria tecnica pittorica, avvalora tale lettura, confortata peraltro anche dalla preferenza, riscontrabile il larga parte dell'opera di Grifoni, per accordi cromatici ternari o quaternari eminentemente simbolici, quali la terna nero-rosso-oro o l'accordo nero-bianco-rosso-oro - scelta coloristica, quest'ultima, che sembra sottendere una citazione quasi letterale del processo di evoluzione spirituale proprio dell'opus alchemico, che, partendo dallo stadio della nigredo, ascende alla perfezione della pietra filosofale, rappresentata dal color oro, passando per la purificazione (albedo) e l'amore (rubedo). La suggestione legata alle tematiche della spiritualità e dell'ascesi sembra punteggiare la vicenda artistica di Grifoni, dalla scelta di insediare il proprio atelier nell'incantevole cornice dell'ex-abbazia benedettina di San Nazzaro al Sesia alla definizione «quadri di fede», usata dalla stessa artista per descrivere certa parte della propria produzione pittorica. La drammaticità delle armonie cromatiche e l'intensità dei bruni e dei rossi risvegliano inoltre reminiscenze seicentesche, evocando certo caravaggismo - alcuni capolavori di Mattia Preti, ad esempio – ed evidenziando come l'opera di Grifoni, analogamente a quanto contraddistingue tale illustre tradizione artistica, sia non solo permeata di spiritualità ma anche aperta ad una teatralità che, pur carica di pathos, non indulge ad una facile magniloquenza.
La contaminazione tra arte contemporanea e teatro è, infatti, la cifra stilistica di Daniela Grifoni, artista che ha al proprio attivo una serie di prestigiose scenografie e che opera in ambito teatrale e musicale offrendo al fruitore incantevoli sinestesie. Osservando alcune opere dell'artista toscana, intensamente drammatiche e attraversate da ipnotici segni calligrafici, possono emergere dalla memoria anche alcune “battaglie” di George Mathieu, pittore tachiste e padre della performance contemporanea.
L'opera di Grifoni,dunque, mesmerizza il fruitore, lo interroga, evoca infinite suggestioni e ci regala un'esperienza estetica di indubbio valore.
Alessandra Negro
1M.PREDASSO, Il viaggio e l'arte come forma di comunicazione con l'Altro, in «DADA, rivista di antropologia post-globale», Settembre 2011.